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Arte e Premio Cairo: intervista a Michele Bonuomo

MILANO. Vittorio Schieroni intervista Michele Bonuomo, giornalista e Direttore di Arte, mensile di Cairo Editore che ogni anno organizza il Premio Cairo rivolto ai giovani talenti dell'arte contemporanea. Nato nel 2000 dalla volontà dell'imprenditore Urbano Cairo di sostenere gli artisti italiani under 40, il Premio mette in luce le nuove tendenze in pittura, in scultura, videoarte, fotografia e arte digitale. La proclamazione dell'opera vincitrice dell'edizione 2024 del Premio si terrà il prossimo 14 ottobre a Milano nella cornice del Museo della Permanente.


Nella foto: Michele Bonuomo, foto di Ferdinando Scianna


Intervista di Vittorio Schieroni

Direttore ARTSTART


Vittorio Schieroni: Il Premio Cairo ha raggiunto la sua ventitreesima edizione, un appuntamento nazionale sempre molto atteso per fare il punto della situazione sulle nuove tendenze dell'arte contemporanea. Come è cambiato, a suo parere, il Premio nel corso di tutti questi anni e quali sono stati importanti punti di svolta?


Michele Bonuomo: Direi che il Premio ha sempre mantenuto la sua identità, che nasce dalla volontà e dalla passione del Presidente Urbano Cairo di costituire questo premio per sostenere con visibilità, comunicazione, ma anche economicamente i giovani artisti italiani, che nella situazione storica italiana sono sempre quelli più penalizzati: per entrare nel sistema dell'arte, si sa, un giovane artista deve sudare sette camicie. Questo impegno è costante nella storia del Premio, i mutamenti sono stati dettati anche dal "colore del tempo", dalle vicende artistiche che in questi ventiquattro anni si sono presentate in Italia. Un cambio abbastanza interessante è l'organizzazione del Premio: nel passato ha avuto formule diverse, c'erano dei critici che presentavano, sostenevano e proponevano degli artisti, ma dal 2015 abbiamo dato una svolta, secondo me più coerente ed efficace: è la Redazione di Arte, che nel corso dell'anno seleziona e individua i venti artisti in concorso. D'altronde, siamo un osservatorio privilegiato, facciamo questo quotidianamente, quindi ci prendiamo il diritto di scegliere e ci assumiamo in toto la responsabilità di queste scelte.


Venti giovani talenti a confronto con opere inedite: cosa accomuna, secondo lei, questi artisti dai diversi percorsi e dalle differenti sensibilità e quali sono le ragioni della loro scelta da parte della Redazione di Arte?


Come le dicevo, quotidianamente analizziamo, documentiamo, selezioniamo, abbiamo una struttura per vedere che cosa sta succedendo e lo verifichiamo poi in tutti gli ambiti, in tutti gli aspetti. Nel tempo questo nostro metodo si è affinato: noi scegliamo gli artisti e i linguaggi che loro praticano e che ci sembrano quelli più evidenti, più interessanti, più rappresentativi del loro operare all'interno di una indagine a tutto campo, verificando così chi sono i giovani artisti che all'interno di un certo modus operandi rappresentano, secondo noi, con maggiore evidenza nuovi atteggiamenti.


A scegliere il vincitore è ogni anno una Giuria d'eccellenza, dove figurano critici e storici d'arte, direttori di musei e presidenti di fondazioni, Maestri dell'arte contemporanea. Come si svolge il confronto tra queste autorevoli figure per raggiungere una posizione condivisa?


La Giuria innanzitutto ha tutta la documentazione delle opere che saranno in mostra, poi vede le opere e si confrontano tra di loro. in un dibattito molto stimolante: da parte loro c'è una partecipazione molto precisa, e puntuale nel valutare le opere. Dalla mia esperienza - ormai sono parecchi anni che sono Direttore di Arte e che quindi seguo direttamente e curo il Premio insieme alla Redazione - devo dire che il dibattito che si svolge tra i giurati è davvero eccezionale. D'altra parte non potrebbe essere diversamente: i membri della Giuria sono autorevolissimi, serissimi e "super attrezzati" per condurre un dibattito importante.


Tutte le opere vincitrici vengono acquisite da Cairo Editore per entrare a far parte della collezione del Premio Cairo, che viene esposta ogni anno insieme alle venti opere nuove in gara. Da Luca Pignatelli a Giuliana Rosso (il primo, vincitore nel 2000, la seconda nel 2023): che cosa rappresenta questa collezione, un "museo" vivo e in costante aggiornamento, all'interno del panorama artistico italiano?


Secondo me è innanzitutto il catalogo di comportamenti e di atteggiamenti che nel corso degli anni sono stati presenti nella ricerca dei giovani, che d'altra parte sono quelli che in qualche modo meglio rappresentano lo stato dell'arte in fieri di un tempo. I giovani sono quelli che "ci provano", quelli che azzardano di più. Un Maestro consolidato ha già una storia che lo sostiene, per loro invece è una grande sfida. Nel corso degli anni abbiamo sempre evidenziato da parte di ognuno di loro uno sforzo a rappresentarsi al massimo. Ci tengo a sottolineare che il Premio è sull'opera, non è sui curricula dei vari artisti, perché crediamo che soprattutto in tempi come i nostri l'opera debba ritornare a essere il centro della ricerca. È l'opera che alla fine meglio definisce un tempo e che diventa anche la certificazione più veritiera di un'identità artistica.


Da tanti anni è alla guida del mensile Arte, una delle principali pubblicazioni del settore. Ci può raccontare del suo percorso all'interno del sistema dell'arte e di momenti che sono stati per lei di particolare rilevanza?


La mia storia professionale è abbastanza lunga, ho cominciato a fare questo mestiere, il mestiere del giornalista, alla fine degli anni Settanta; nel mondo dell'arte c'ero già precedentemente, già dagli anni universitari. Vengo da Napoli, quindi ho vissuto una delle stagioni più importanti dell'arte in Italia. Tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta, Napoli è stato uno dei motori della ricerca nazionale e internazionale. Le grandi città dove in quegli anni l'arte contemporanea cresceva, progrediva e si affermava erano Torino, Roma, Napoli; Milano era la città dove si vendevano i quadri. A Milano la grande ricerca s'era fatta negli anni passati, prima con le Avanguardie storiche - quindi Futurismo, Novecento... - poi soprattutto con la presenza di Fontana e Manzoni. Poi Milano diventa una grande "fiera", il luogo della santificazione e della certificazione di mercato. Le città di ricerca erano appunto Torino dove nasce l'Arte Povera, Roma dove c'era tutto il gruppo dei "giovani" (la Scuola di Piazza del Popolo, Schifano, Ontani, Kounellis, Pascali, ecc.), c'era Burri e tutta una generazione che stava ribaltando completamente la scena dell'arte del tempo. A Napoli, soprattutto con quelle che all'epoca erano le "nuove" gallerie - Lucio Amelio, Lia Rumma, Pasquale Trisorio e Peppe Morra - la grande arte internazionale si intreccia con quella italiana: in tempi non sospetti sono arrivati tutti, da Beuys a Rauschenberg, da Andy Warhol a Cy Twombly, da Gerhard Richter a Gilbert & George, da Marina Abramović a Hermann Nitsch, per citarne solo alcuni. Il loro non era solo un "passaggio" in occasione di una una mostra; di volta in volta si creavano connessioni rimaste nel tempo e che hanno generato esiti molto importanti per tutta la ricerca contemporanea italiana. Vengo da qui. La mia storia poi ha un percorso nel giornalismo: io mi reputo un giornalista d'arte. Non mi attrae il termine "critico", e non amo assolutamente quello di "curatore": a me piace ragionare d'arte e divulgare quanto più possibile appassionatamente e lucidamente quello che succede dentro e intorno al mondo dell'arte contemporanea.


Intervista rilasciata da Michele Bonuomo a Vittorio Schieroni il 26 settembre 2024.

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